Cos’è il diritto di abitazione
Quando si parla di abitazione viene subito alla mente il concetto di casa, il luogo fisico in cui si vive abitualmente, quello in cui si ritorna a fine giornata o dopo un viaggio, gli spazi che si condividono con i propri familiari.
Diverso, invece, il significato che gli è attribuito nel mondo del diritto. Quando si fa riferimento al concetto di abitazione, infatti, si richiama un diritto reale di godimento su cosa altrui tramite il quale è consentito a un soggetto vivere in un immobile appartenente a un’altra persona per rispondere a un bisogno proprio o della propria famiglia.
Diritto di abitazione, la disciplina
Il codice civile all’art. 1022 precisa che “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”.
Emerge in maniera abbastanza evidente che trattasi di un diritto di natura strettamente personale e che consente solo al soggetto titolare del diritto (detto habitator) e ai suoi familiari si alloggiare nell’immobile.
Proprio in virtù dei peculiari bisogni abitativi che l’istituto mira a soddisfare, la dottrina è pressoché unanime nel ritenere che il diritto di abitazione possa essere riconosciuto solo a persone fisiche e non nei confronti di quelle giuridiche.
Il contenuto del diritto di abitazione
Il codice civile, perimetra in maniera chiara il contenuto di tale diritto, ovvero quello di abitare l’immobile per rispondere ai soli bisogni del titolare e della sua famiglia. In sostanza, all’habitator non sarà concesso destinare la casa oggetto del diritto a utilizzi diversi (es. magazzino, ufficio, ecc.).
L’immobile oggetto del diritto dovrà presentare i requisiti di abitabilità e, poiché la casa non ricomprende i soli vani abitabili, il diritto si estende anche a tutto ciò che integra l’abitazione stessa, ovvero balconi, verande, giardino, rimessa, e così via.
Per impedire che il titolare non rispetti il limite dell’esclusiva e diretta soddisfazione delle necessità sua e dei familiari, l’art. 1023 c.c. vieta espressamente ogni atto di cessione o dazione in locazione del diritto di abitazione.
L’art. 1024 c.c., infine, chiarisce che chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa è tenuto alle spese di coltura e alle riparazioni ordinarie, nonché al pagamento dei tributi. Se, invece, viene occupata solo una parte della casa, si contribuirà in proporzione.
Il concetto di famiglia
Poiché il diritto di godimento in oggetto è limitato ai bisogni del titolare e dei suoi familiari, sorge la necessità di individuare quali sono i soggetti che rientrano in tale ambito.
Non v’è dubbio che vi rientrino il coniuge, i figli ed eventuali genitori del titolare o fratelli/sorelle che con lui convivano, nonché il convivente more uxorio.
L’art. 1023 c.c., in aggiunta, precisa che nella famiglia che ha diritto di abitare la casa sono compresi anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d’abitazione, nonché i figli adottivi e quelli riconosciuti, anche se l’adozione, il riconoscimento o l’affiliazione sono seguiti dopo che il diritto era già sorto.
Ancora, sono ricompresi tra i soggetti che posso usufruire del diritto di abitazione anche le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi (ad es., domestici, badanti ecc.).
Abitazione e differenza con usufrutto
Rispetto all’usufrutto, che pure consente a un soggetto di vivere in un’abitazione altrui, il diritto di abitazione si distingue per il suo contenuto più limitato. In primis, il diritto di usufrutto riguarda immobili di varia natura mentre quello di abitazione la sola casa.
All’usufruttuario, inoltre, è concesso di cedere il proprio diritto e di godere dei frutti derivanti dal bene, darlo in affitto o stipulare ipoteca. All’habitator, invece, non è riconosciuto un analogo diritto a sfruttare la casa allo scopo di trarne un guadagno o una rendita. Tuttavia, a differenza del diritto di usufrutto, il diritto di abitazione non è pignorabile.
Diritto di abitazione: costituzione ed estinzione
Il diritto di abitazione è un diritto temporaneo la cui durata non potrà eccedere quella della vita del titolare. Le modalità di costituzione del diritto di abitazione possono essere molteplici: in primis, attraverso un contratto (è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata) tra proprietario e habitator, oppure attraverso un testamento.
Inoltre, ci sono dei casi in cui il diritto sorge per legge (es. coniuge superstite nella casa coniugale) oppure a seguito di una sentenza del giudice (es. coniuge separato e figli nella casa di proprietà dell’altro). Infine, è ammessa anche l’usucapione.
Oltre che per morte del titolare, il diritto di abitazione può estinguersi per altre ragioni, tra cui: rinuncia del titolare, scadenza di un eventuale termine previsto dal contratto, perimento del bene (dunque della casa), consolidazione.
Diritto di abitazione e casa coniugale
Un caso particolare di costituzione ex lege del diritto di abitazione è quello previsto, in caso di morte, in capo al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza coniugale che si acquisisce immediatamente, dopo l’apertura della successione ereditaria.
L’art. 540 del codice civile riserva al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, il diritto di abitazione vitalizio sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Si tratta di una disposizione che mira a tutelare la continuità del diritto di abitazione, le abitudini della famiglia, senza stravolgerle ulteriormente creando un ulteriore danno che si accompagna a quello della perdita del coniuge.
La legge Cirinnà (legge 76/2016), inoltre, ha introdotto un diritto analogo, ma limitato nel tempo, nei confronti del partner dell’unione civile: in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite avrà diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Qualora nell’abitazione coabitino figli minori o disabili del convivente superstite, questi avrà diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
Quest’ultima disposizione si ritiene applicabile anche a quei rapporti di convivenza che rispettino i requisiti di forma prescritti per il contratto di convivenza.
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