Padre vende la casa per non dare il mantenimento: cosa succede?
Non è infrequente che quando una coppia sposata o convivente si lascia, uno dei due tenti di sottrarsi ai propri obblighi. Per fortuna la legge contempla delle azioni che permettono a chi vanta un diritto di credito, di tutelarsi. Una di queste è l’azione revocatoria, oggetto dell’interessante ordinanza n. 25857/2020 (sotto allegata) della Cassazione che si è pronunciata sul caso di un padre che aveva tentato di vendere la casa per non versare il mantenimento.
Vediamo quindi prima cos’è l’azione revocatoria e in seguito analizziamo l’ordinanza degli Ermellini.
Cos’è l’azione revocatoria
L’azione revocatoria o actio pauliana è disciplinata dall’art. 2901 c.c. Si tratta di un’azione che da la possibilità al creditore di far dichiarare inefficaci alcuni atti che il debitore ha compiuto in pregiudizio del suo diritto di credito. Sappiamo infatti che per il principio di responsabilità patrimoniale il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti suoi beni presenti e futuri, se quindi si libera di alcuni beni, diminuendo la garanzia patrimoniale generica sulla quale i creditori possono rivalersi, la legge tutela questi soggetti con l’azione revocatoria.
Questa premessa è necessaria per affrontare un tema particolarmente delicato. Di recente infatti la Cassazione si dovuta pronunciare su una causa che ha preso le mosse dalla vendita di un immobile da parte di un padre, al fine di sottrarsi agli obblighi di mantenimento nei confronti del figlio.
La vicenda
La vicenda riguarda un uomo, ex convivente e padre obbligato quindi al mantenimento del figlio che vende un immobile. L’ex compagna e il figlio però, sentendo puzza di bruciato agiscono in giudizio chiedendo che venga accertata la simulazione assoluta dell’atto di vendita e in subordine la revocatoria dell’atto di compravendita immobiliare. Le loro richieste tuttavia vengono rigettate. Esclusa la simulazione assoluta viene infatti rigettata anche la domanda sulla revocatoria perché per il giudice:
– le parti non hanno provato l’elemento soggettivo in capo al terzo acquirente (al quale è richiesta la partecipazione alla preordinazione dolosa dell’alienante);
– quando è stata effettuata la vendita il credito relativo al diritto al mantenimento non era ancora insorto, visto che era stata presentata solo domanda in giudizio.
Il credito per il mantenimento è sorto prima del rogito
Nel ricorrere in Cassazione la ex convivente mette in evidenza che la convivenza è durata 9 anni e che dalla relazione è nato un figlio. Venuta meno la convivenza nel 2002 è venuto meno ogni aiuto da parte dell’uomo per il mantenimento del figlio, ragione che l’ha spinta a rivolgersi al giudice il 12 giugno 2002. L’atto di vendita di cui chiede la revoca è stato rogato il 26 giugno 2002, quindi pochi giorni dopo la proposizione della domanda per il mantenimento. Fatte queste premesse fa valere in Cassazione ben 5 motivi di ricorso.
Prima di tutto la Corte ha errato nell’escludere la possibilità di chiedere la revocatoria ritenendo sussistente una mera aspettativa di credito o ragione da accertare giudizialmente, visto che il credito per il rimborso delle spese di mantenimento e per il concorso a quelle future sussisteva già dall’avvio del giudizio anteriore al rogito.
In secondo luogo ai fini della revocatoria è sufficiente la consapevolezza da parte del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi dei suoi creditori.
La partecipazione dolosa del terzo non è necessaria ai fini della revocatoria, bastando la consapevolezza del pregiudizio.
Contestata la conclusione sulla mancata prova della simulazione o sulla finalità da parte del venditore di volersi sottrarre alle proprie responsabilità, dimostrata in realtà da tutta una serie di elementi.
Non reggono infine le conclusioni della Corte sulla mancata partecipazione dolosa al piano da parte dell’acquirente, che non è necessaria in realtà nel caso di specie, visto che il rogito è posteriore al sorgere del credito al mantenimento.
È sufficiente che il terzo sia consapevole che la vendita immobiliare è dolosa
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25857/2020 accoglie i primi tre motivi del ricorso, che esamina congiuntamente e dichiara assorbiti gli altri.
La Corte ricorda infatti che: “l’obbligo dei genitori di mantenere la prole sussiste per il solo fatto di averla generata e prescinde da ogni statuizione del giudice al riguardo”. In secondo luogo precisa che per attivare l’actio pauliana, per quanto riguarda i presupposti del credito, non rileva la data in cui esso viene accertato giudizialmente. Ricorda inoltre come ai fini dell’azione revocatoria rileva la “proposizione della domanda giudiziale prima dell’atto revocando, non potendo ridondare a danno di chi ha ragione il tempo necessario a far valere il diritto (in tal senso, proprio in materia di assegno di mantenimento: Cass. 11/04/2000, n. 4558) e di norma retroagendo, per le pronunce dichiarative, l’effetto della sentenza al tempo della proposizione della domanda.”
Rammenta infine che in materia familiare vige il principio secondo cui “la domanda con cui uno dei genitori abbia chiesto la condanna dell’altro al pagamento di un assegno di mantenimento per i figli va accolta, in mancanza di espresse limitazioni, con decorrenza dalla data della sua proposizione e non da quella della sentenza, atteso che i diritti ed i doveri dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei provvedimenti relativi all’affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia giudiziale, rimanendo identico l’obbligo di ciascuno dei genitori di contribuire, in proporzione delle sue capacità, all’assistenza ed al mantenimento dei figli.”
La Corte sottolinea quindi come l’analisi delle prove doveva concentrarsi solo sulla consapevolezza del terzo, non sulla partecipazione attiva e fraudolenta al progetto dell’ex convivente di sottrarsi all’adempimento degli obblighi gravanti su di lui in quanto genitore.
Il principio di diritto
La sentenza pertanto va cassata, alla luce del seguente principio di diritto: “poiché il credito vantato dal genitore per il contributo da parte dell’altro genitore al mantenimento del figlio minore regolarmente riconosciuto è da ritenersi insorto non oltre il momento della proposizione della relativa domanda, ai fini dell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un’alienazione immobiliare posta in essere dopo la proposizione di una tale domanda, quel credito va qualificato come insorto anteriormente all’alienazione ed è allora sufficiente, ad integrare l’elemento soggettivo della revocatoria dispiegata contro il genitore inadempiente alienante, che il terzo acquirente sia stato consapevole del pregiudizio delle ragioni creditorie, non occorrendo invece pure la prova della participatio fraudis e cioè della conoscenza, da parte di quest’ultimo, della dolosa preordinazione dell’alienazione ad opera del disponente rispetto al credito.”
Leggi l’ordinanza n. 25857/2020 della Cassazione
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