La clausola penale sull’affitto
La clausola penale sull’affitto, nota anche come “penale”, è una particolare clausola disciplinata dal codice civile (artt. 1382-1384) per l’effetto della quale le parti convengono che, in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti sia tenuto a una determinata prestazione.
Come funziona la clausola penale sull’affitto
Si tratta di una pattuizione che ha l’evidente obiettivo di incentivare l’adempimento da parte del debitore, ma che assume anche funzione “risarcitoria” in quanto contiene una sorta di liquidazione convenzionale del risarcimento del danno, fissando da subito l’entità della prestazione a cui il debitore sarà tenuto in caso di inadempimento o ritardo.
Da un lato, infatti, la legge esonera il creditore dall’onere di provare il pregiudizio subito affermando che “la penale sarà dovuta indipendentemente dalla prova del danno”. Dall’altro, invece, questa previsione viene controbilanciata dal fatto che tale clausola avrà l’effetto di “limitare il risarcimento alla prestazione promessa”.
Pertanto, il creditore non potrà, di norma, ottenere il risarcimento per l’ulteriore pregiudizio, a meno che non sia stata espressamente convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. In tal modo, dunque, la clausola penale ha l’effetto di determinare, in via preventiva e forfettaria, l’ammontare del risarcimento del danno in caso di inadempimento o ritardo dell’adempimento, così da evitare contestazioni del debitore e l’instaurazione di un giudizio di cognizione.
Penale nella locazione: patto accessorio
Nel contratto di locazione, la clausola penale consiste in un patto accessorio che le parti potranno in piena autonomia decidere di inserire in ogni contratto, compresi quelli di durata con obbligazioni periodiche o continuate.
Capita spesso di ritrovarla all’interno dei contratti di locazione per tutelare il proprietario in caso di ritardo nel rilascio dell’immobile o, per scongiurare la morosità degli inquilini, in caso di ritardato pagamento del canone, ma anche per l’eventualità di risoluzioni anticipate.
Si prevede, solitamente, che scatti una penale per ogni giorno di ritardo a seguito del mancato rilascio o del ritardato pagamento del canone; ancora, si può prevedere che una penale per l’inadempimento in caso di mancato pagamento del canone che determini la risoluzione del contratto.
La riduzione a equità
La clausola penale pattuita nel contratto di locazione, ad esempio per il ritardato pagamento del canone, non potrà essere di importo eccessivo.
Infatti, se l’importo della penale appare manifestamente eccessivo, il giudice ha il potere (ex art. 1384 c.c.) di diminuirla equamente. Si tratta di un potere previsto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento e che, secondo la Cassazione, potrà essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela.
Lo stesso avviene qualora la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte eseguita. In quest’ultimo caso, infatti, la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività di essa se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.
Clausola penale e locazione: la questione fiscale
In ordine alla clausola penale all’interno del contratto di locazione è emersa una questione peculiare inerente la sua tassazione.
Il D.P.R. n. 131/86 prevede ai fini dell’imposta di registro solo il trattamento impositivo sulla caparra confirmatoria, mentre nulla prevede in ordine alla clausola penale. Ciò ha indotto i contraenti a non assoggettarla a un’autonoma e ulteriore imposta di registro, oltre a quella versata per la registrazione del contratto di locazione. In molti, però, si sono visti recapitare avvisi dell’Agenzia delle Entrate per recuperare l’imposta non versata in relazione a una pattuizione considerata “autonoma”.
L’art. 21 del d.P.R. n. 131/1986, dispone al comma 1: “Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”.
Il comma 2, invece, prevede che “Se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa”.
Dunque, per capire se bisogna versare l’imposta di registro aggiuntiva, è necessario verificare che natura ha la clausola contestata. Se ricade nell’ipotesi di cui al primo comma, infatti, sarebbe corretta la liquidazione del l’imposta di registro aggiuntivo. La giurisprudenza, sul punto, non è però sempre univoca.
Sotto il mirino della giurisprudenza è finita, in particolare, la clausola che, in caso di inadempimento o tardivo pagamento del canone, impone al conduttore di interessi moratori maggiorati rispetto a quelli derivanti dall’applicazione del tasso legale. La giurisprudenza ha ritenuto che questa non rappresenti una pattuizione accessoria e dunque vada tassata a parte, con un’autonoma e ulteriore imposta di registro.
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