Revisione rendita catastale: le regole della Cassazione
La rendita catastale rappresenta il valore economico attribuito, a fini fiscali, a tutti gli immobili in grado di produrre o generare reddito, in base al quale viene calcolato il pagamento delle imposte (es. IMU, Tari, imposta catastale, etc.).
In particolare, la sua valutazione avviene tenendo conto delle caratteristiche (dimensioni, numero di vani, superficie, ecc.), della destinazione d’uso e delle zone censorie in cui gli immobili sono ubicati. Le tariffe relative sono stabilite dal Comune in relazione a tali parametri. Appare evidente come il valore delle tasse pagate sia proporzionale a quello della rendita catastale.
Revisione della rendita catastale, come funziona
Poiché il valore delle tasse è proporzionale a quello della rendita catastale, il contribuente sarà interessato a conoscerlo al fine di stimare quanto pagherà di tasse e imposte, ad esempio qualora decidesse di acquistare l’immobile.
Tuttavia, le città tendono a trasformarsi col tempo e spesso le località assumono maggior prestigio facendo così lievitare il valore degli immobili, così come possono degradare e dunque far calare il valore della rendita catastale.
In tal caso, all’amministrazione è consentito attivare un procedimento di una revisione della rendita catastale per adeguare il valore dell’immobile risultante nei registri ufficiali con quello effettivo.
Come è facile intuire, viste le conseguenze che possono derivare dalla revisione della rendita catastale, è necessario che la stessa avvenga secondo un procedimento preciso che la Corte di Cassazione ha accuratamente delineato nella recente sentenza n. 22671/2019.
L’amministrazione, ovviamente, troverà maggiormente utile rivedere le stime al rialzo, per ottenere il pagamento di maggiori tasse, mentre è improbabile avvenga il contrario. Il contribuente deve dunque essere in grado di difendersi da eventuali violazioni poste in essere durante il procedimento di revisione.
Le ipotesi di revisione del classamento
Il nostro ordinamento catastale prevede tre ipotesi di revisione del classamento di un immobile urbano su iniziativa dell’amministrazione comunale.
La prima, prevista dalla L. n. 662/1996, consente al Comune di chiedere l’intervento dell’Agenzia delle entrate per ottenere la revisione del classamento di un immobile, sia quando il classamento stesso risulti non aggiornato sia quando esso risulti palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche.
La seconda ipotesi, prevista dall’articolo 1, comma 336, della legge 311 del 2004, è relativa al classamento di immobili non dichiarati ovvero di immobili che abbiano subito variazioni edilizie non denunziate.
La terza ipotesi, prevista dal comma 335 dell’art. 1 della legge 311/2004 consente al Comune di chiedere la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali qualora vi sia uno scostamento notevole (almeno il 35%) tra il valore medio di mercato e il valore medio catastale, salve diverse disposizioni comunali.
La tre ipotesi di revisione sono tra loro distinte e hanno presupposti, condizioni e procedure diverse; pertanto, con riferimento a ciascuna di esse, sarò necessaria una rigorosa, completa, specifica e razionale motivazione dell’atto di riclassamento.
L’amministrazione dovrà specificare in modo chiaro nell’avviso di accertamento le ragioni della modifica e non potrà addurre, in un eventuale giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunciate nell’atto.
La revisione su richiesta del Comune
L’ultima delle ipotesi, quella della revisione delle unità immobiliari private site in microzone comunali, non è giustificata dalla semplice evoluzione del mercato, né dalla mera richiesta del Comune, bensì dall’accertamento di una modifica nel valore degli immobili presenti nella microzona.
Per questo l’amministrazione che intende procedere alla revisione, precisa la Cassazione, dovrà seguire un iter in due fasi: in primis, l’amministrazione dovrà specificare in modo chiaro, preciso e analitico, dunque dimostrare, i presupposti di fatto che legittimano nel caso di specie la c.d. riclassificazione di massa.
Nella seconda fase, invece, l’amministrazione ha l’onere di dedurre e provare i parametri, i fattori determinativi e i criteri per l’applicazione della riclassificazione alla singola unità immobiliare. Andranno indicati in modo dettagliato gli interventi e le trasformazioni urbane che hanno determinato la riqualificazione dell’area e bisognerà dare conto in modo chiaro e specifico dei metodi con cui sono stati ottenuti i risultati che hanno determinato il riclassamento.
In sostanza, andranno chiariti i criteri impiegati e le tecniche statistiche applicate per identificare, calcolare e rilevare i quattro parametri prescritti dalla norma e cioè: il valore medio di mercato della microzona (per mq); il valore catastale medio della microzona; il valore di mercato medio per l’insieme di tutte le microzone; il valore catastale medio per l’insieme di tutte le microzone.
Il contribuente deve essere posto in condizione di poter compiutamente controllare e se del caso contestare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della revisione del classamento.
Ridurre la rendita catastale
Solitamente della revisione in diminuzione della rendita catastale si fanno promotori i cittadini che possono presentare apposita istanza all’Agenzia delle Entrate.
Nel dettaglio, sono tre le ipotesi che giustificano una simile istanza:
– qualora l’immobile si trovi in uno stato di conservazione tale da far presumere una riduzione del suo valore (es. edifici pericolanti, degradati, mai ristrutturati ecc.);
– qualora sia modificata la destinazione d’uso dell’immobile con riduzione del relativo valore (es. unità immobiliari adibiti a negozi poi chiusi o adibiti a magazzini);
– qualora siano cambiate la superficie o la categoria catastale dell’immobile.
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